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martedì 11 dicembre 2012

LA BICICLETTA VERDE di Haifaa Al-Mansour












In Arabia solo i bambini sembrano capire che anche un paio di pedali possono far volare.

Voto **½      6½

Nonostante anche in Arabia i bambini giochino a “campana”, le regole del vivere civile sono assai diverse e come è ben noto la secolarizzazione è ancora una utopia distante, anzi addirittura proibita - persino “come pensiero” - e punibile dallo stato controllore.

Ad incarnare lo spirito ribelle - che inevitabilmente pulsa nascosto nel suo paese - ecco la frizzante Wadjda (Waad Mohammed), una bambina di 10 anni intraprendente e sfrontata che vive alla periferia di Riyadh in Arabia Saudita, veste con i jeans e porta ai piedi delle “Converse” con i lacci viola .

La ragazzina invidia il suo coetaneo Abdullah (Abdullrahman Algohani), che può scorrazzare libero per le strade del quartiere con la sua bicicletta, mentre per lei la cosa è poco indicata, perché una “femminuccia” potrebbe metter a repentaglio la sua verginità!

Nonostante la giovanissima età, la piccola Wadjda intuisce che la strada verso l’emancipazione e la libertà puo’ passare anche per un paio di pedali. Non resta che trovare i soldi per comprare “La bicicletta verde”, che aspetta il suo acquirente al negozio.
Haifaa Al-Mansour, donna e regista Araba, si cimenta con tematiche delicate per la sua cultura, ragione per cui già l’aver realizzato una pellicola del genere è da considerarsi un evento significativo.

La bicicletta verde” apre finestre su temi degni d’attenzione, mostrandoci alcune delle regole asfissianti che ogni giorno limitano il campo d’azione di chi vive la realtà dell’Arabia Saudita. In primo piano la condizione delle donne, che possono trovarsi a dover superare ostacoli insormontabili per cose che da noi sarebbero considerate nemmeno al pari di una inezia.  

Paradossalmente però – ecco il “segno intelligente e provocatorio” - la simpatica e sbarazzina protagonista troverà proprio con l’aiuto del Corano (le cui pagine non debbono mai restare aperte perché potrebbe arrivare il diavolo e sputarci dentro), una strada per “correre libera” e sfidare l’ipocrisia del mondo degli adulti, che vogliono ammansirla e ridurla all’ordine costituito

Semplice e lineare, “La bicicletta verde” nel suo insieme risulta essere un film gradevole, buono anche per veicolare “gocce di conoscenza” e tirar via qualche idea preconcetta. 

venerdì 27 aprile 2012

HUNGER di Steve Mc Queen









Gli ultimi giorni di Bobby Sands e le lotte dell' I.R.A. in un film che è arte, impegno politico e passione allo stato puro.


Voto ****      9


Esordio di rara bellezza e perfezione quello dell'inglese McQueen. “Hunger” è un obiettivo puntato fisso sull' “ultimo miglio” della vita di Bobby Sands, l'attivista politico dell'I.R.A. che sacrificò la sua stessa vita per la causa Irlandese attraverso uno sciopero della fame senza ritorno durato 66 giorni, tra atroci sofferenze ed incredibile coraggio.

Steve “Rodney” McQueen, Londinese, usa con passione artistica e geometrica gli insegnamenti acquisiti anche in discipline extra-cinematografiche e tramuta con il suo obiettivo muri coperti di escrementi in cornici concentriche dal sapore denso e pittorico, dei corpi nudi dei “soldati politici” umiliati, martoriati e bastonati ne fa tante figure Cristologiche perse in una moltitudine di brutali e disumani calvari carcerari.

Costringe il nostro occhio ad osservare immagini fisse dalle quali non possiamo fuggire e dentro le composizioni che spesso raggiungono vertigini estetiche ammirevoli ci mischia tensioni e paure (mani sporche di sangue nel lavandino, chiavi che girano il motorino di avviamento dell'automobile mentre qualcuno trema in finestra).

Spesso senza l'ausilio delle parole fa riaffiorare tutto l'orrore della dura lotta nel carcere inglese di Long Kesh detto “The Maze” tra gli anni '70 e '80, lo “sciopero delle coperte e dello sporco” ed infine quello letale della fame che oltre a Sands mieterà altre vittime sacrificali.

Fassbender è un'icona magnifica di forza e sofferenza, alcune sue immagini in primo piano sono superbe istantanee capaci tanto di raccontare l'assurdo cruento della recente storia politica Britannica quanto di ben figurare sulle pareti di un museo d'arte.

Fra tanta rara bellezza e tormento McQueen pone un lungo dialogo capace di spiegare argomenti e motivazioni con lucidità sintetica, chiara e tagliente: la retorica dell'esercizio teologico e semantico di un prete a confronto con la vita reale del combattente determinato fino all'estremo sacrificio.

McQueen, con divagazioni che ricordano persino Bacon, Bill Viola e Van Gogh, dipinge una tela di passioni senza farci nessuno sconto in quanto a brutalità dell'impatto ma rendendo immortale nelle immagini una realtà cruda e terribile come meglio non sarebbe stato possibile: purezza tremenda e cibo sopraffino per i nostri occhi. 

giovedì 19 gennaio 2012

SHAME di Steve McQueen










Un asfissiante affresco del malessere, un grido di dolore contemporaneo: da non perdere.


Voto ***      7½


Asfissiante e bellissimo allo stesso tempo questo secondo lavoro per il cinema di Steve (Rodney) Mc Queen, quarantatreenne londinese che ha già esordito nel cinema raccogliendo unanimi applausi con l’austero ed esteticamente inappuntabile “Hunger”, storia di Bobby Sands piu’ che giustamente premiata a Cannes 2008 con la “Camera d’or” per la migliore opera prima.

In “Shame” tutto è sofferto, claustrofobico, nulla è mai liberatorio. Fassbender è un volto ora sfocato nel buio di una metropolitana, poi è una silhouette sbiadita tra il vetro e l’acqua di una doccia. E’ un uomo sempre deformato dallo specchio che lo riflette, costantemente prevaricato dalla sua ombra: cerca godimento e trova solo sfoghi compulsivi, infine trova (in)consapevole espiazione al bancone di un bar.

McQueen sta sempre incollato su Fassbender, “gli stringe il campo addosso” fino a farcelo percepire molte volte come un leone in gabbia, un prigioniero (…della vita…) ansioso, agitato ed ansimante. Spesso i confini dello schermo paiono per lui quelli di un carcere, del quale lui tocca continuamente le mura senza riuscire mai ad evadere.

Shame”, coraggiosamente e senza nessuna curiosità pruriginosa (pur mostrandoci niente di meno del “necessario”) prende di petto la tematica del “sesso come droga”, una delle tante devianze del nostro tempo, forse una delle piu’ importanti e sottovalutate.

Nei protagonisti traspare con nettezza un passato poi sconfinato in un presente patologico, ma abbiate comunque l’occhio e l’acutezza di “gestire il vostro sguardo” gettandolo anche in “campo aperto” e vi accorgerete di poter distinguere, non solo fra le righe, molto altro oltre la storia personale di Brandon.

Shame” è un grido di dolore contemporaneo! L'affresco di un malessere che travalica il suo confine verso la “malattia” ed invade il territorio del quotidiano, mischiandosi all’abitudine, facendosi norma deleteria.

E dopo aver visto il film di McQueen tutto quello che l’immaginario comune presumibile ci rimandava come “bello e desiderabile” sembra ora l’inferno in terra: fatto solo di carne e senza fiamme!