Visualizzazioni totali

lunedì 31 marzo 2014

FUORISTRADA di Elisa Amoruso



La famiglia ideale è allargata e senza distinzione di genere.

Voto ***       7½



Giuseppe Della Pelle di mestiere fa il meccanico a Roma, nel quartiere San Giovanni. Durante il tempo libero si diletta con il suo fuoristrada e per il “gruppo del Rally” è “Girello”, il suo soprannome. Per tutti gli abitanti del quartiere ed i clienti della sua officina invece è Pino, ma lui troverà infine il coraggio di apparire per quello che “sente” e diventerà Beatrice.

Poi, quando gli ormoni avranno già mutato decisamente il suo aspetto – ma non il suo sesso - incontrerà la badante Rumena Marianna “Marioara” Dadiloveanu. Si innamorerà – ricambiato - e la sposerà. Tutt’ora convive assieme a lei ed al figlio Daniele - che oramai è un Romano d’adozione e non più uno straniero - per il quale è la figura paterna che mancava. Nella stessa casa c’è posto anche per la madre centenaria che, a piccoli passi quasi inconsapevoli, ha accettato amorevolmente e di buon grado di avere una figlia anziché un figlio.

Il ritratto di questa famiglia felice e - perché no! - di questo “modello di nucleo affettivo”, è assolutamente vero e non è opera di finzione. Lo porta sul grande schermo con un lavoro ben riuscito di “sensibilità registica” la giovane sceneggiatrice Elisa Amoruso, che ci restituisce tutta l’atmosfera di schiettezza e serenità nella quale si è trovata coinvolta durante la realizzazione di “Fuoristrada”.

Ci sono molti elementi singolari in una storia che sembrerebbe quasi obbligata a sconfinare nel ridicolo o nel grottesco: immigrazione e transessualità, vite ed infanzie difficili, diversità ostentata con coraggio. Eppure il rischio non viene nemmeno lontanamente sfiorato, forse perché sentimenti e sincerità non possono mai andare davvero sopra le righe!

Tenerezza ed armonia dominano e diffondono un’aura di stupefacente normalità. A dispetto di ogni pregiudizio vediamo la sfera affettiva dei nostri “stravaganti” protagonisti ad ogni istante rinsaldarsi ed acquisire chiarezza.

Tutto quello che potremmo desiderare e basterebbe ad ogni essere umano è conquistato con coraggio e molta semplicità da chi ha compreso che per farlo bisogna solamente essere se stessi, mantenere una porta aperta ai propri sogni e non stancarsi mai di tener viva la propria felicità.

Potreste rischiare di stupirvi - senza alcuna buona ragione! - nel vedere tanta normalità e pacifico vivere mischiato a tutto quello che molti si rifiutano di vedere e di accettare, ed è forse proprio questo il motivo principale per cui dovreste assolutamente considerare come necessario l’incontro con questa storia semplice ed illuminante. 

venerdì 21 marzo 2014

JIMMY P di Arnaud Desplechin


La storia vera dell’incontro di James Picard con l’antropologo George Devereaux.

Voto ***      7


James Picard (Benicio Del Toro) è un nativo americano della tribù dei “BlackFoot”. Soffre di gravi disturbi (cecità temporanea, perdita dell’udito, fortissime emicranie), forse dovuti ad una ferita al cranio che si è procurato durante la seconda guerra mondiale. 

Così da Browning nel Montana - dove vive in un ranch assieme alla sorella – si reca al “Winter” di Topeka, un ospedale del Kansas per “cervelli fuori uso”.

Dopo accurati controlli risulterà essere un “invalido in perfetta salute” ma, per fugare gli ultimi dubbi al riguardo di una sua ipotetica schizofrenia, verrà chiamato l’antropologo e pioniere dell’ “etno-psichiatria” Georges Devereux (Mathieu Amalric), uno studioso della cultura dei “Mohave”, con i quali ha convissuto per ben due anni nel deserto.

Il film di Desplechin ruota praticamente tutto attorno all’ incontro di questi “due diversi”: un mite e taciturno indiano ed un eclettico e provvidenziale medico. Il primo vive in un mondo di bianchi dopo aver conosciuto la “riserva” ed ora, ad ondate liberatorie di un’ora al giorno, consegna tutti i suoi incubi ed i suoi ricordi nelle mani di un professore avanguardista della psicanalisi, che è guardato da alcuni suoi colleghi con un certo scetticismo.

Quest’ultimo - calatosi anche nel ruolo di “sciamano” e “castoro protettore” (…!...) - prende febbrilmente appunti, cercando di fare del suo meglio per scoprire le cicatrici invisibili del suo paziente e correggere gli errori del passato.

Basato su una storia vera e sul libro dello stesso Devereux “Psichotherapy of a plains indian” (Psicoterapia di un indiano delle pianure) il film di Desplechin è tutto a “trazione verbale” e si affida alla più che valida interpretazione di Del Toro ed Amalric.

Chi non ama molto i film dove gli attori frequentemente cedono il passo alle parole si astenga dalla visione. Tutti gli altri si godano pure il lavoro di questo regista Francese capace di recuperare storie marginali ed interessantissime.

Jimmy P.” potrebbe risultare ostico e persino monotono se non se ne arrivassero a cogliere le molte “rivelazioni” di diversa natura, che scaturiscono dalla fitta chiacchierata tra i due protagonisti. Le risposte sembrano non arrivare mai ed invece sono innumerevoli, sparse ovunque e non solo nell’evidenza dell’epilogo.  




mercoledì 19 marzo 2014

IDA di Pawel Pawlikowski


Nella Polonia del secondo dopoguerra due donne cercano di fare i conti con il loro passato.

Voto ***½       8½

Anna è una giovane novizia in attesa di prendere i voti (in verità scoprirà di chiamarsi Ida/Agata Trzebuchowska). Incontra sua zia Wanda (Agata Kulesza), un magistrato, nella Polonia degli anni ’60, ancora dolorosamente afflitta dal suo complicato dopoguerra.

Nemmeno si conoscono ma partono assieme alla ricerca del loro passato, con il quale forse nessuna delle due ha mai fatto veramente i conti: la più giovane probabilmente accantonerà in fretta qualunque ipotetica scoperta, perché attesa dall’eterno matrimonio con Dio.
Il regista Pawlikowski segue queste due donne muoversi tra fantasmi ed incertezze, mentre scavano nella storia e nella terra ancora bagnata dal sangue degli Ebrei e dei “nemici del popolo” Polacco. 

Riaffiorano sofferenze e rimorsi e la “luce di dio” è troppo fioca per rischiarare tutta l’oscura malvagità dell’uomo. Eppure sbocciano comunque le nuove foglie della vita e la musica di Coltrane aleggia nell’aria.

Nell’estetica magnifica di un bianco e nero in “35 mm” il film si fa “sfogliare” come fosse un sontuoso album di fotografie, forte di inquadrature di una grandezza compositiva inappuntabile: il taglio di ogni immagine è studiato con perfezione certosina e la bellezza è seducente. Il solo insieme di queste “cartoline” risulta a tal punto memorabile che varrebbe da solo la visione della pellicola.

Ida” è un film intenso e struggente e fin da subito sembra potersi proporre per occupare un posto nell’olimpo del grande cinema.

Nel finale evoluzioni inaspettate: forse assistiamo ad una sorta di espiazione oppure è l’istinto ribelle della vita che si fa strada, grazie a nuove consapevolezze. L’incrocio di due vite spesso fa germogliare i suoi frutti e questo, al di là di ogni riflessione sul Divino o sull’umana disperazione, sembra essere più di altri il vero miracolo da considerare. 



PROSSIMA FERMATA: FRUITVALE STATION di Ryan Coogler


Le ultime ventiquattr’ore di un giovane innocente: l’impegno civile di Coogler nel film vincitore del Sundance 2013.

Voto **½      7

Il primo giorno dell’anno 2009, fermato dalla polizia assieme ad altre persone presso la Stazione di “Fruitvale” in California, un ragazzo di colore di ventidue anni chiamato Oscar Julius Grant III (Michael B.Jordan) perse la vita trafitto da un colpo d’arma da fuoco.

Ryan Coogler, nel suo pluripremiato esordio (nel 2013 ha vinto il Gran Premio della Giuria ed il Premio del Pubblico come film drammatico al Sundance nonchè il Premio “Avenire” per il miglior debutto a Cannes) racconta di questo tragico episodio. 

Ricostruisce le ultime ventiquattro ore di un giovane innocente, esaltando i tratti più comuni della sua quotidianità e rendendo con questo ancora più agghiacciante e priva di senso la tragedia della sua morte.

Sebbene sia l’inizio festoso di un nuovo anno è un silenzio sordo e che sa di presagio quello che avvolge la banchina vuota di “Montgomery Station”, dopo che il treno se n’è andato infilandosi sotto il tunnel. Il convoglio riaffiorerà alla fermata successiva che per qualcuno, purtroppo, sarà l’ultima.

Due solamente gli anni inflitti al poliziotto che ha sparato (solo undici i mesi scontati) e nessuna consolazione per una bambina rimasta orfana del padre senza alcun motivo. 

A fine pellicola vediamo la piccola Tatiana nelle immagini di una recente manifestazione di protesta proprio a Fruitvale, mentre all'inizio scorrono le immagini di un video originale - girato con il telefono cellulare - che testimonia l’assassinio di Oscar.

Un film non può assicurare giustizia a chi non l’ha ancora avuta però il suo contributo puo' far si che questo accada e soprattutto concorrere ad evitare che nulla di simile abbia a ripetersi. Portandoci a conoscenza dei fatti Coogler prova a restituire la dignità infangata di una vittima innocente e chiede a tutti noi di non dimenticare. 

sabato 15 marzo 2014

ALLACCIATE LE CINTURE di Ferzan Özpetek














Contro ogni malattia o infelicità l’unica cura possibile è vivere!

Voto **½         6½


Antonio (Francesco Arca) ha lo sguardo torvo ed intrigante, promette irresistibile carnalità e nasconde (nemmeno troppo) muscoli scolpiti sotto la tuta blu da meccanico. E’ poco incline a ragionare sui temi della diversità e dunque parrebbe inevitabilmente distante da Elena (Kasia Smutniak), donna delicata e dalle idee aperte e progressiste. 

Quest’ultima è amica di Fabio (Filippo Scicchitano), suo compagno di vita ma solo nelle avventure commerciali: in quanto a preferenze sessuali, meglio gli uomini!

Eppure, nonostante queste premesse, tra Antonio ed Elena finirà per brillare una scintilla, destinata a spegnersi niente affatto presto.

Ferzan Özpetek adora assicurare il primo piano agli “incroci delle diversità” che la realtà gli offre come spunto. Delle ruvidezze smussa gli angoli senza eliminarle, ricreando con il suo cinema un quadro d’insieme trasformato, dove lo scettro del comando viene consegnato a sentimenti ed affetti, che prevaricano abbondantemente tutto il resto e si affermano come la vera linea guida da seguire.

Il regista Turco (ma Romano d’adozione) controlla oramai sapientemente azione e racconto, incasellando ogni cosa in schemi oliati. Se da una parte questo offre innegabili vantaggi nella gestione della pellicola, di contro la comodità dell’ “abitudine narrativa” finisce per offuscare alcune importanti caratteristiche che, in passato, ne contraddistinguevano l’opera in misura maggiore, come ad esempio l’audacia e la libertà, alle quali Özpetek non rinuncia ma che stavolta risultano più “irreggimentate” del solito.

Di “Allacciate le cinture” bisogna necessariamente accettare alcune prevedibilità e molte “romantiche ineluttabilità”, assieme a tutti i “fantasmi a margine” in stato di perenne agitazione. Indispensabile sorvolare anche sulla proposizione di alcuni scontati stereotipi: solo così potremo ottenere in cambio gradevoli tessiture di emozioni e pulsioni.

Le soluzioni narrative cominciano ad esser troppo spesso “ricalcate” dalle precedenti esperienze ed a mostrare la corda ma, complessivamente, tutto sembra ancora tendere alla ricerca della genuinità.

Il cinema di Özpetek è come uno specchio nel quale guardarsi e rimodellare i contorni della realtà, che lui spesso arricchisce con slanci ottimistici, “prendere o lasciare”: dal dramma si naviga in pochi istanti verso orizzonti di inaspettata leggerezza e d’incanto appare possibile il superamento di qualsiasi ostacolo.

venerdì 14 marzo 2014

LEI di Spike Jonze



Oggi è già domani: l’amore è fisico e/(o) cerebrale ed è vero anche quando è “artificiale”.

Voto ***       7½


In un imprecisato futuro innamorarsi sarà una questione dannatamente difficile e delegheremo il compito di esprimere i nostri sentimenti ad ottimi professionisti del settore, i quali ci offriranno i loro servizi scrivendo lettere dalle frasi intense e vibranti.

Istinti e passioni si “connetteranno” ma solamente a distanza, in anonime chat room dove si è troppo lontani per il sesso carnale ma anche per augurarsi una più semplice buonanotte.

Conosceremo molto dei gusti di chi gradiremmo conquistare, attraverso i nutriti “database” della rete, eppure questo non ci aiuterà quando, passando dal virtuale al reale, tentenneremo come cuccioli inermi e sperduti, sembrando niente di più che sbiadite proiezioni di noi stessi.

La vera “conquista” arriverà dunque grazie al “Sistema Operativo” (“O.S.”) dei nostri sogni, accondiscendente e (…apparentemente...) privo di complicazioni aggiuntive: una intelligenza artificiale senza un corpo con la quale potremo “flirtare” liberamente, anche se – dettaglio non trascurabile – non programmabile a nostro piacimento.

Si potranno pianificare tutti i dettagli della “vita di coppia” (…!!...) ed eliminare ogni rischio di fallimento e sofferenza. Finalmente niente più fastidiose “implicazioni fisiche”, né l’impegno opprimente del dover crescere ed edificare assieme a qualcuno il nostro domani.

Dei bisogni e delle nostre solitudini: Spike Jonze e la sua “assurda” (ma non troppo) storia d’amore rimestano tra i dolori e le sempre più insormontabili difficoltà dell’essere umano, incapace di venire a capo delle sue mutevoli emozioni.

Corpo e cervello navigano verso approdi (o derive) diverse e nessuno sembra essere in grado di guadagnarsi la propria felicità, che rimane un desiderio distante ed inaccessibile, impossibile da costruire, ancora meno da vivere.

Moltissime le riflessioni stimolate da “Her”, con imbeccate molto più geniali che inverosimili, rimbalzando tra amore fisico e cerebrale.


La realtà intesa come “concretezza del ragionare” occupa pressochè tutto lo spazio a disposizione e di fantasia ne rimane appena un piccolo umore, quasi impercettibile. A ben vedere del futuro non c’è quasi niente e tutto quanto vediamo potrebbe accadere – anzi, sta già succedendo – esattamente oggi!

mercoledì 12 marzo 2014

FELICE CHI E' DIVERSO di Gianni Amelio


Testimonianze toccanti: 
contro le ostilità preconcette e 
la volgarità di una cultura scadente.

Voto ***         7½

Invertiti, anti-natura, “capovolti”, “terzo sesso”: queste solo alcune delle parole coniate da un mondo eterossessuale, spietato e sessista, per additare con spregio gli omossessuali, affiancate non di rado da altri vocaboli, pescati appositamente per loro dallo “stanzino maleodorante” del vizio e dello squallore.

Difficile però non condividere il dettame “Il bambino è perfetto, sbagliata è la società” di Jean Jaques Rousseau, filosofo del ‘700 e ancora oggi riferimento per educatori e pedagogisti. Come considerare allora i feroci divieti creati dagli uomini e dalla paura, il biasimo con il quale si è voluta additare – di fatto creandola – una categoria di esseri umani, arrivando ripetutamente a colpirla con scherno, violenza e cattiveria?

Gianni Amelio (di recente ha fatto “outing” durante una colloquio con la giornalista Natalia Aspesi) con il suo “Felice chi è diverso” si schiera contro decenni di cultura scadente - questa certamente volgare - mirando a muover guerra al pregiudizio costituito, che ancora oggi vede molte persone propense a considerare l’omosessualità come una malattia da curare in appositi centri di recupero, magari con una medicina o una puntura salvifica.

L’arma usata dal regista è la testimonianza, la verità fatta affiorare per mezzo dei ricordi di coloro che sulla propria pelle hanno patito il peso di una società ostile, che hanno visto minata la loro sensibilità e la loro tranquillità affettiva ed hanno dovuto proteggere - come meglio hanno potuto - pensieri, sogni e desideri, provando ad evitare che divenissero incubi. Ottimo anche il collaterale lavoro di ricerca e documentazione sui materiali d’epoca di Francesco Costabile.

Molti i volti sconosciuti, altri quelli più noti: Ninetto Davoli, Paolo Poli e il critico ed attore John Francis Lane. Dalle loro labbra memorie di giorni gioiosi o difficili, l’eco di vecchie “birichinate” clandestine consumate all’ombra di un portone; rievocazioni di luoghi del passato, ambigui ma necessari per dare corpo ad un desiderio altrimenti inaccessibile.

Felice chi è diverso essendo egli diverso. Ma guai a chi è diverso essendo egli comune”: riassumono molto del senso generale queste poche parole - da una poesia di Sandro Penna - brevi ed incisive, dalle quali possiamo scorgere in controluce l'esuberanza e la ricchezza dei mille colori del mondo e, in contrapposizione, un monito rivolto a tutti i benpensanti che, mentre additano le altrui "anomalie", non si avvedono di quanto nuocciano persino a loro stessi.  

lunedì 10 marzo 2014

PULCE NON C'E' di Giuseppe Bonito











Un fulmine a ciel sereno turba 
una già precaria tranquillità familiare.

Voto ***         7


Margherita (Ludovica Falda) ha nove anni, ascolta il tango e va pazza per il tamarindo. Ride, ma non sai mai se è felice, piange, ma non sapresti dire se è triste. Ha molto da dire ma nessuno vuole o riesce ad ascoltarla davvero, così i suoi sentimenti ed i suoi desideri rimangono custoditi dentro uno scrigno inaccessibile, nel quale ogni tanto si apre una breccia per potervi sbirciare dentro. Per la sua famiglia è “Pulce” e nemmeno una patologia problematica come l’autismo riesce ad inquinare la felicità del tempo passato assieme a lei. Ma un giorno la piccola Margherita viene sottratta ai suoi cari, in seguito ad una accusa grave ed infamante.

Pulce non c'è”: dal libro omonimo ed autobiografico di Gaia Rayneri - qui collaboratrice alla sceneggiatura di Monica Zapelli - che nella vita ha vissuto davvero il dramma dell'allontanamento familiare della sorella più piccola per un periodo di nove mesi, trovandosi suo malgrado a dover affrontare drammatiche incertezze.

Il regista Giuseppe Bonito – premiato al suo esordio con il secondo posto di categoria ai Nastri d’Argento 2013 e vincitore dell’ultima rassegna “Bimbi Belli”, organizzata da Nanni Moretti - racconta la vicenda di Margherita attraverso lo sguardo della scrittrice, che nel film diventa quello della sorella adolescente Giovanna (Francesca Di Benedetto, molto brava).

Oltre che di buoni sentimenti e commozione la sua pellicola si nutre anche di sensazioni angosciose e di una tensione narrativa derivante dai molti dubbi privi di una risposta. Tutte le laceranti preoccupazioni ed i torbidi stati d’animo si raccolgono sul viso accigliato e nerissimo di Pippo Del Bono (nel ruolo di Gualtiero, il padre di “Pulce”).

La pellicola di Bonito pone l’accento – senza calcare la mano – sull’inadeguatezza delle istituzioni, sulla solerzia cieca ed il poco tatto degli addetti ai lavori (insegnanti, medici, assistenti sociali), suggerendo come sia facile scivolare nell’abuso partendo dal presupposto di evitarlo.

Pulce non c’è” si compone di piccoli dettagli che colgono nel segno divenendo emozioni e smussa le sue imperfezioni con la forza della sincerità. Si avverte l'interesse per la storia raccontata, puntellata ad ogni passo da una delicatezza che viene dalla "vicinanza".


giovedì 6 marzo 2014

SNOWPIERCER di Bong Joon-ho











Costretti in un convoglio rigidamente separato per classi sociali, i sopravvissuti del mondo girano attorno al pianeta.
                                            
                                          Voto **½        7

Una nuova era glaciale ha reso la terra inabitabile. Calore, cibo ed acqua si possono trovare soltanto sull’ “arca sferragliante” del ricco costruttore di treni Wilford (Ed Harris). Si tratta di un treno che, per produrre il necessario alla sopravvivenza, corre da diciassette anni senza sosta, lungo un binario circolare che si estende per 438.000 kilometri: giusto un anno il tempo necessario a percorrere l’intera distanza e celebrare il capodanno passando sul ponte di Yekaterina!

A bordo l’ordine è stabilito, tutti hanno la propria posizione ed il proprio ruolo ed il caos non è tollerabile: così è! In fondo al convoglio c’è l’ultima classe, dei sudici e dei reietti, che vengono nutriti con immonde barrette proteiche gelatinose. Il ministro Mason (una fantastica ed irriconoscibile Tilda Swinton) porta ai “diseredati del pianeta” notizie ed ordini dalla “sacra locomotiva” ma presto Curtis (Chris Evans) guiderà la rivolta, per “risalire il mondo dai piedi fino alla testa”.

Una “strip” francese scoperta in una fumetteria di Seul - “La Transperceneige” di Jean Marc-Rochette e Benjamin Legrand, - ha ispirato Bong Joon-ho per il suo “Snowpiercer”. Il regista coreano trasforma in immagini la visione di un “microcosmo viaggiante su rotaia”, un ecosistema chiuso e bisognoso ad ogni costo di mantenere il suo precario equilibrio (vi ricorda qualcosa?), del quale ci mostra in sequenza l’interno/(inferno…) di ogni vagone, facendoci scoprire un po’ alla volta piccoli gironi Danteschi e – confinati all’interno delle carrozze - fascinosi ambienti di un pianeta quasi estinto.

Seguono folate d’azione (lotte a colpi d’ascia, sanguinolente colluttazioni corpo a corpo) miste ad un cocktail di sarcasmo, crudeltà e toni grotteschi.

Dai finestrini scorgiamo bianchi paesaggi post-apocalittici mentre all’interno del convoglio va in scena molto del campionario degli orrori della sopraffazione e dei meschini abusi del potere, con metaforiche allusioni alla rivoluzione del popolo ed il corredo di tutte le cocenti disillusioni al riguardo.

Snowpiercer” è una lunga e veloce carrellata tra le follie e le disuguaglianze del mondo: Bong Joon-ho coniuga assieme eccessi e fantasia con bravura, in una pellicola ricca di azione e spunti interessanti, passando in rassegna alcuni pregi e difetti dell'umanità come la vacuità e l'ambigua natura di molti, il raro coraggio disinteressato di pochi altri.


martedì 4 marzo 2014

LA GRANDE BELLEZZA di Paolo Sorrentino











L’apatica lascivia della “dolcevita” 

borghese aggiornata al 
giorno d’oggi: la bellezza è solo un 

rimpianto.

      Voto ***         7½


Jep Gambardella (Toni Servillo) è un uomo stanco di affogare nella mondanità, deluso dai suoi stessi errori e dalla sue rinunce. 

Rimpiange le belle occasioni perdute: cercava “La grande bellezza”, ma non l’ha trovata ed ora, forse, è troppo tardi. Compie sessantacinque anni e fa una scoperta sconvolgente: non può più perder tempo a fare quel che non gli va di fare!

Al fianco di questo protagonista sfilano molti altri “prototipi moderno-borghesi”, controfigure di loro stessi che affondano con lenta consapevolezza nella mediocrità cafona, nel pallore di una “vita che non è stata”, a passo stanco, circondati da un cattivo gusto debordante ed a ben guardarlo persino imbarazzante.

Sorrentino aggiorna ad oggi “La dolce vita” di Felliniana memoria con una sequenza di cartoline amare e cupe, composte anche con visioni surreali. Confeziona il suo film con chirurgica precisione tecnica - talvolta forse eccessiva - trovando  il passo giusto per portare in luce le baracconate travestite da eleganza e descrivere l’insieme di una società decadente, irrimediabilmente distante dai sogni, dall'innocenza e da qualsiasi consistenza.

Una Roma borghese, pelandrona e senza nerbo è il set ideale, che allude ad una più ampia visione del declino Italiano (o universale). 

Vitelloni stanchi - scrittori da romanzetto o millantatori di false sofferenze e vocazioni civili che furono - masticano amaro rimpianti ed insoddisfazioni, ostentano sorrisi e false serenità. Si nutrono ancora delle loro vanterie seriose, di artifici pedanti e vuoti, vacuità necessarie per evitare il confronto con la loro meschinità: hanno perso l'attitudine alle belle cose !

Sceneggiato con Umberto Contarello “La grande bellezza” è abbastanza impietoso per farci male e lasciare un segno indelebile - estetico e di sostanza - a futura memoria.

Il mondo degli esseri umani è seducente e feroce: della sua vera bellezza Sorrentino poco ci mostra, sbilanciato ad osservare il “versante nero” con grande crudeltà cinematografica. Una festa amara per gli occhi, uno stillicidio devastante per la speranza e per l'anima.