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venerdì 28 febbraio 2014

I FANTASMI DI SAN BERILLO di Edoardo Morabito










Intimità, curiosità e contraddizioni di un quartiere ferito e abbandonato della Sicilia.



                             Voto ***½        8 






Bassifondi poveri, malsani come una favela, equivoci come una casbah. Vicino alle baracche di legno giocano a cricket giovani ragazzi di origine indiana, segno dei tempi che cambiano; un cestino di vimini, calato con lo spago dalla finestra, cerca di riequilibrare il passato con la modernità.

San Berillo: un quartiere di Catania dal quale alla fine degli anni ’50 furono “deportati” gli abitanti – verso il sud-est della città, nel quartiere “San Leone” - per dare corso ad un progetto di riqualificazione urbanistica. Agli annunci seguirono i sogni traditi, poi l’evidente rovina e lo stato di abbandono e fatiscenza di oggi. San Berillo si popolò di extra-comunitari e proliferò l’illegalità, divenne soprattutto una zona di prostituzione: di fatto un “ghetto” – pulsante di vita “atipica” - in pieno centro, fino agli anni duemila, quando un nuovo allontanamento degli abitanti fu operato da parte delle forze dell’ordine.

Edoardo Morabito - al suo esordio dietro la macchina da presa - ha vinto al recente Festival del Cinema di Torino il premio come miglior film nella “Sezione Italiana Doc”: ha lavorato quattro anni per arrivare a questo risultato, incontrando differenti protagonisti di oggi e di ieri che, come nessun altro, conoscono odori, storie e segreti di quegli edifici mischiati alla lava, vecchi “confidenti” di muri e pareti scrostate.

Delle curiosità, delle contraddizioni e di tutte le diversità “I fantasmi di San Berillo” coglie l’essenza, portandola in primo piano. Ogni aneddoto diviene “distillato di vita”, la dignità delle testimonianze allontana ogni presunzione di volgarità

Donne mezze affacciate tra la porta e la strada, uomini smarriti con la giacca divorata dalle tarme, appartamenti dove si mischiano il sacro ed il profano: fa eco alle immagini la scrittrice siciliana Goliarda Sapienza, della quale ascoltiamo le impressioni – lette da Donatella Finocchiaro, assieme a brani di Italo Calvino - di quando per quei vicoli si aggirava curiosa, per poi tornare al secondo piano a suonare il pianoforte e a studiare.

Morabito sovrappone passato e presente, le immagini del suo girato odierno a curiosi ed interessanti filmati di repertorio della “Filmoteca Nazionale Siciliana”. Ad ogni passo “la città ci dice tutto”, rivela la sua intimità.

I Fantasmi di San Berillo offre spazio a desideri e rimpianti, fa brillare i sudiciumi e trasforma le perversioni in commoventi attestati di vita: quel che dovrebbe esser sordido e maleodorante risplende in questa pellicola, dove ogni cosa respira e tutto è vita.



giovedì 27 febbraio 2014

THE LEGO MOVIE di Phil Lord e Christopher Miller




Una irresistibile sortita 

cinematografica nel mondo dei 

 mattoncini  colorati.


Voto ***½        8 





In un mondo ("BricksBurg") fatto di mattoncini "Lego" e governato dal "Presidente Business" ogni cosa deve mirare alla perfezione assoluta ed il disordine è messo al bando. I lavoratori (operai) cantano la loro colonna sonora intonando il coro "E' meravigioso", mentre (e)seguono alla lettera le "regole di costruzione", come dettato dall'apposito manuale.  

Per ribellarsi e “salvare la creatività dell’universo” occorrerà – non domandatavi perché - unire un “mattoncino speciale” (“il pezzo forte”!) al “Kragle”, niente altro che un tubetto stropicciato di colla a presa rapida custodito nella “Torre Octan”!

Ci riusciràcon l’aiuto “davvero di TUTTI” – il mite ed anonimo Emmet, un eroe “normale”, anzi “Quello speciale” (…!...), la cui mente è “prodigiosamente vuota” e dunque perfetta per “credere e vedere ogni cosa”.

Eccellente sortita cinematografica di Phil Lord e Chris Miller (autori, sceneggiatori e registi) nel mondo dei mattoncini colorati. “The Lego movie” è geniale e folle (vedi il “divano a castello”…), sembra con attitudine e facilità. Attinge a “Guerre Stellari” e rilegge “Matrix”, facendo ondeggiare le sue situazioni multicolore tra il “1984” di Orwell e le tristi spersonalizzazioni del mondo reale.

Passando dal “vecchio West” a “Middle Zealand” (ovvero viaggiando tra i giochi e passando “di scatola in scatola”) arriviamo nel “Paese del Cucù”, dove non esistono cartelli con regole da seguire e si celebra l’elogio del caos e della diversità, oltre a veder riunito un manipolo di “ribelli” mai visto prima: Batman e Superman, Gandalf, la tartaruga Ninja Michelangelo, campioni dei Lakers ed astronauti degli anni ’80, Abramo Lincoln seduto su una sedia con i razzi!

The Lego Movie” è un profluvio di trovate intelligenti, demenziali e divertenti, di idee proposte con ritmo vorticoso, usando una tecnica che mescola animazione e “stop-motion” (praticamente ogni scena ed ambientazione sono state ricreate “mattoncino dopo mattoncino”, utilizzandone “qualche milione”…).

Non c’è limite alla libertà ed alla fantasia e, tra “profezie inventate” e “poster con il gatto”, si arriva ad una conclusione dal significato semplice ed universale, che mette a confronto come in uno specchio il mondo fantastico con quello in carne ed ossa degli uomini (padre e figlio).

L’unica cosa che serve per essere speciali è “credere di esserlo” (o che qualcuno ci aiuti a crederlo) ma attenzione: il gesto rivoluzionario più grande è tendere la mano al nemico, l’unica arma “davvero segreta” per poter esser tutti uniti ed ottenere un mondo davvero migliore.



mercoledì 26 febbraio 2014

EU 013 - L'ULTIMA FRONTIERA di Alessio Genovese e Raffaella Cosentino










Ospiti indesiderati d’Europa”: le vite sospese di esseri umani “irregolari per legge”.

Voto ***       6½


C.I.E.” (Centri di Identificazione ed Espulsione): sembrano carceri ed anche se non lo sono hanno le stesse invalicabili sbarre di ferro; la privazione della libertà ha il medesimo sapore acre, produce la stessa rassegnazione, rabbia o disperazione.

In Italia circa ottomila persone (stranieri) vi sono “trattenute”, in regime di “detenzione amministrativa”, senza aver commesso nessun reato penale o esser mai state giudicate in alcun processo. All'interno, il nome degli ospiti – che non possono reclamare il diritto nemmeno di possedere un accendino o un telefono cellulare - è sostituito da un insieme anonimo di cifre.

Privi di documenti e permessi di soggiorno gli esseri umani divengono “irregolari per legge” e possono essere obbligati a “soggiornare” presso queste strutture fino a diciotto mesi. Strumentali ad interessi politici ed economici, ben lontani dall'esser risolutivi, i ”C.I.E.” incidono sul bilancio nazionale per cinquanta milioni di euro l'anno!

Dopo i “necessari” accertamenti, allo scadere del periodo di “reclusione” - disposto da un questore e convalidato da un giudice di pace - il rilascio. Chi non ha sanato le proprie “pendenze” riceverà un “foglio di via” e sarà costretto ad abbandonare il territorio Italiano ma, senza le “giuste credenziali”, nemmeno il resto d’Europa sarà mai “libero e calpestabile”: perché i trattati di Schengen hanno aperto le frontiere solo per proteggere e favorire il “benessere di pochi”, infischiandosene dei bisogni e delle speranze di moltissimi altri.

EU 013 – L’ultima frontiera” - film-documento di Alessio Genovese e Raffaella Cosentino - ci mostra per la prima volta immagini dall’interno di alcune delle tredici strutture presenti sul territorio Italiano: Ponte Galeria (Roma), Bari e Milo (Trapani).

Video-Frammenti” di vite sospese per un tempo “non precisamente quantificabile”, “ergastoli bianchi” in attesa di un intervallo. L’indeterminazione alla quale è sottoposto il futuro, l’umiliazione e la “declassificazione della gente”, ricordano per alcuni aspetti le condizioni patite nelle strutture manicomiali “pre-Basagliane”.

Mentre la maggior parte della popolazione Europea coltiva la sua indifferenza – accostandole persino fastidio ed irritazione - questo lavoro cerca di stimolare l’attenzione, di colmare la nostra deplorevole distanza dalle condizioni altrui.

I titoli di coda restituiscono un nome ad ogni “detenuto”, facendoci sottilmente notare quanto possa esser grave mancare di rispetto a qualunque essere umano e ricordandoci quale aberrazione possa celarsi nel ridurre le persone ad una sequenza di numeri

lunedì 24 febbraio 2014

THE SQUARE di Jehane Noujaim










La rivoluzione è la cultura di un popolo: sogni, ideali e divisioni visti dal cuore di una lotta coraggiosa.

Voto ***½       7½


Egitto: dal mese di gennaio del 2011, inizio delle proteste in piazza Tahrir, alla caduta di Hosni Mubarak, passando per “l’interregno” di Mohamed Morsi – deposto dai militari - fino ad arrivare alla probabile vittoria alle prossime presidenziali nel 2014 del “Maresciallo di campo” Abdel Fattah al-Sisi.

La documentarista Jehane Noujaim, nata al Cairo ma naturalizzata americana, ha seguito le varie fasi della rivoluzione Egiziana dal suo epicentro, scambiando rapporti con alcuni dei suoi protagonisti e pedinandoli da vicino: il giovane Ahmed, l’attivista Khalid, un tormentato seguace dei Fratelli Musulmani di nome Magdy, il cantante simbolo della protesta Rami, la combattiva Aida.

Come un fiume carsico la rivoluzione scompare e continuamente riaffiora lungo un periodo di tre anni, trovando come luogo simbolico per emergere sempre piazza Tahrir, “un posto dove recarsi con una tenda ed una coperta per tentare di risolvere ogni problema”: il “cinema Tahrir”, dove confrontarsi con le immagini di cio’ che è accaduto; lo “stato di Tahrir”, il primo pezzo di terra sul quale avanzare diritti!

The Square” è un documento esemplare nel suo descrivere la protesta e il suo lungo corso, le sue diverse anime, le dinamiche e le strumentalizzazioni, i movimenti sotterranei che portano ogni volta al potere diversi uomini e gruppi politici. 

Potente nel mostrare immagini drammatiche come quelle della polizia che spara ad altezza d’uomo, efficace nel saper evidenziare l’importanza dell’informazione alternativa (YouTube, i Social Network) che reagisce alle imposizioni dei media tradizionali.

Filmare, credere, testimoniare, esortare, combattere: la pellicola della Noujaim sembra sposare in pieno le parole d’ordine della rivoluzione, che non vuole abbattere un regime per vederne un altro prenderne il posto bensì creare una coscienza, alimentare la cultura di un popolo che non si sfama solo con “elemosine” di olio e zucchero.

“The Square” puo’ infondere coraggio o sfiducia ma certifica due dati di fatto: chi insegue pervicacemente i suoi ideali non smette di sognare; per provare a cambiare la realtà bisogna continuamente "agire e reagire" - con sopportazione ed inesauribile coraggio - alle numerose ed inevitabili sconfitte.

domenica 23 febbraio 2014

12 ANNI SCHIAVO di Steve McQueen




              




Le lacerazioni della carne 
soverchiano l’anima “possibile” del film: McQueen un passo indietro rispetto alle sue potenzialità.

Voto ** 6½

Il nuovo film di Steve McQueen è basato sulla storia vera di Solomon Northup (Chiwetel Ejiofor), talentuoso violinista che nel 1841 viveva in America da uomo libero, nella contea di Saratoga (New York). Con l’inganno di due falsi agenti dello spettacolo fu rapito e ridotto in catene fino al 1853. Suo il libro “12 anni schiavo”, da cui il titolo della pellicola.

Sulla durezza della schiavitù e la collera del “padrone” come condizione costante non nutrivamo dubbi: le schiene martoriate dalla frusta e le umiliazioni che ci propone questa pellicola rinverdiscono le nostre certezze, senza concederci sconti.

Piaghe, lacrime, urla di rabbia e di dolore, volti sofferenti: supplicare la morte o comprare la pietà sono chimere avvelenate o impossibili, la libertà talvolta ha un prezzo ma non è mai un diritto.

Tutto cammina su binari che difficilmente potrebbero procedere altrimenti e che purtroppo immaginavamo, eppure ben presto ci troviamo come disorientati e quasi annoiati, ad interrogarci su cosa non funzioni.

Forse la prova del protagonista Ejiofor, dal quale pretenderemmo si affacciassero chissà quali abissi imperscrutabili dell’animo umano? E’ buona la sua interpretazione ma è solo un tiepido antagonista per il fiero e “cristologico” Bobby Sands/Michael Fassbender, visto nel capolavoro “Hunger” (qui è nel ruolo del sadico schiavista Edwin Epps).

Manca il contraltare che accompagnava l’ostentazione dei “corpi” dei precedenti lavori di McQueen: la tensione tagliente e palpabile delle carceri Inglesi, le atmosfere angosciose e disturbanti di “Shame”. Osserviamo tutto quanto accade ma quasi mai oltrepassiamo davvero le barriere emotive, poco ci addentriamo nelle dinamiche psicologiche.

Riassume i conflitti del contesto generale uno scambio fin troppo “elementare” di idee nel dialogo tra l’abolizionista Samuel Bass (Brad Pitt) e Northup, distante anni luce dal possente “incrocio verbale” tra prete e detenuto del già citato “Hunger”.

Troppa realtà “esposta al solo sguardo”, con poca altra rielaborazione. Sofferenze e pensieri sono sopraffatti dalle lacerazioni della carne e arriviamo senza sussulti alla fine, mentre avremmo voluto sapere molto di piu’ “del viaggio” che ci fino a quel punto ci ha condotto.


venerdì 21 febbraio 2014

IN VIAGGIO CON CECILIA di Barbanente e Mangini


Non c'è nulla di anacronistico nel parlare di lavoro, dignità e salute: Barbanente e Mangini ce lo dimostrano.

Voto: ***       7



Parcheggiare i ricordi d'infanzia presso un antico ponte romano sull'Ofanto e poi proseguire verso le città di Taranto e Brindisi, per documentare con la forza del cinema quel che accade oggi in posti dove il lavoro sembra esser costretto a convivere con la morte e la rinuncia ai propri diritti.

Un doppio sguardo tutto al femminile: quello della piu' giovane Mariangela Barbanente accompagnata dalla più anziana Cecilia Mangini, classe 1927 ed autrice di molto cinema militante dal secondo dopoguerra fino alla metà degli anni '70.

La regista di Mola di Bari torna dietro la macchina da presa dopo quarant'anni, per tentare assieme alla sua compagna di viaggio di trovare risposte ai segni dell'inerzia rispetto ai ricatti della politica e del lavoro, per verificare lo stato dell'abbandono industriale e post-industriale di alcune aree della sua puglia.

I vecchi documentari in bianco e nero della stessa Mangini vengono affiancati al girato odierno per offrire spunti paralleli tra ieri ed oggi: voci del passato parlano di una lotta di classe antica, che è andata trasformandosi, poi “confusa” ha perduto la sua strada ed oggi segna il passo. Ma non è paralisi totale, ci sono ancora barlumi di speranza e consapevolezza, donne e uomini “liberi e pensanti”.

L'approccio tecnico ed esperto ci restituisce la grazia del cinema ed acquistano fascino persino i fumi bianchi e neri che uscendo dalle ciminiere volano verso l'alto. Poi l'obiettivo si sofferma sulla più dolorosa delle reliquie: un rosario fatto di compresse farmaceutiche, lacerante testimonianza di un affetto scomparso ancora in cerca di verità e giustizia.

In viaggio con Cecilia” testardamente parla ancora di lavoro e ricatto occupazionale, di dignità e salute, della deprivazione dei diritti, dei decreti legge che distruggono con una firma anni di lotte, dell'impegno della magistratura e di tutti coloro che credono, reagiscono e non si arrendono.

Ridicoli spruzzi d'acqua bagnano inutilmente i cumuli di polveri velenose dei “parchi minerali” dell' “I.L.V.A.”: un vento di morte li trascinerà ugualmente verso i quartieri vicini ed abitati. Lo stesso vento soffia anche sulla rabbia ed il dolore, alimentando la voglia di rivalsa di chi è stanco di aver pazienza.  

martedì 18 febbraio 2014

TANGO LIBRE di Frédéric Fontayne










Il tango cinematografico di Fontayne è passione, fantasia e libertà.

Voto: ***     7





Alice (Anne Paulicevich) ha i suoi “due uomini” (Fernand/Sergi López e Dominique/Jan Hammenecker) rinchiusi in un carcere; vive con il figlio Antonio (Zacharie Chasseriaud) e nel tempo libero balla il tango con Jean-Christophe (Françoise Damiens), che di mestiere fa la guardia carceraria.

Ben presto l'uomo che serra i chiavistelli diverrà “un grimaldello” e dalla sua solitudine nasceranno gentilezza e coraggio.

Fontayne va a passo di tango, con tocco leggiadro e spericolato. Il suo film è ricco di emozioni ed affettività di vario “genere ed intensità”, di gesti d'onore e d'istinto, ma anche di patti traditi, se rivelare un segreto può servire a salvare una vita e far rinascere la speranza.

I battiti del cuore manderanno all'aria timidezze e regolamenti, la rabbia troverà la sua quiete e tornerà ad esser passione. Amore ed affetto correranno lungo vie inconsuete e dentro un perimetro formato da quattro lati...anzi cinque!


Il soggetto e la sceneggiatura presentano qualche avventatezza e quando scricchiola la plausibilità per superare l'ostacolo è necessario chiudere gli occhi e lasciarsi andare, ma il cast affronta la sua avventura con grande passione, tappando ogni falla e facendo funzionare ogni cosa, donandole la giusta misura e l'indispensabile calore.

mercoledì 12 febbraio 2014

SPAGHETTI STORY di Ciro De Caro


Una storia sull'essere positivi rispetto ad un contesto avverso”. Parola del regista Ciro De Caro!

          Voto **½      6½



Spaghetti Story”: a Roma un piccolo caso! Dopo due mesi di programmazione e parecchie centinaia di biglietti staccati - collezionando anche qualche proiezione "sold out" - è arrivato ad essere uno dei maggiori incassi di sempre del "Nuovo Cinema Aquila" al quartiere Pigneto (un locale con sei anni di attività ed uno dei migliori cartelloni cinematografici della Capitale), divenendo, tramite il passaparola, un fenomeno curioso e quasi un film di culto.

Esordio apprezzabile e degno di nota, soprattutto per il suo ingegnarsi con i pochi mezzi a disposizione: quindicimila euro di budget e solo undici giorni di riprese! Facilmente dividerà pubblico e critica tra coloro che vi rintracceranno una sincera e seducente spontaneità e quelli che invece ne coglieranno alcune facilonerie e forzature buoniste.

De Caro prova ad esaltare i valori umani, limitandosi a raccontare – con sprazzi di lieve umorismo e qualche accenno drammatico - una piccola storia, riuscendo in qualche passaggio a toccare le giuste corde emotive ma cavandosela poi troppo sbrigativamente nel finale, con il quale forse sminuisce qualcosa della credibilità e del realismo conquistati in precedenza.

Il fulcro della storia è tutto nell’impeto di un istante che porterà uno dei protagonisti a seguire il suo istinto ed a trascinare qualcosa dei suoi “sgangherati desideri e vaghi ideali” nel mondo reale: un uomo immaturo, trascinato dalla sua “pericolosa” genuinità, “sbaglierà ogni cosa finendo per fare tutto giusto!”

Spaghetti story” guarda anche alle inquietudini dei giovani precari di oggi per i quali è difficile acquisire sicurezze e “diventare adulti”, che sanno però sognare a tempo pieno e far germogliare la vita attraverso il loro approccio positivo.

L’ottimismo ed il buon umore si avvertono, dentro e fuori dal film, ed il pubblico ha forse voluto premiare tutto questo offrendo il proprio contributo sotto forma di un numeroso ed inaspettato gradimento.




sabato 8 febbraio 2014

SMETTO QUANDO VOGLIO di Sidney Sibilia



Laureati “alla canna del gas” si trasformano in un “gruppo di compravendita di sostanze psicotrope”.

            Voto: **½      7


Nell’Italia dei “cervelli in fuga” c’è ancora chi decide di rimanere anche se dedicandosi ad attività non proprio consuete ed ai margini della legalità.

Sette capaci laureati - con le ambizioni anestetizzate e travolti dalle difficoltà quotidiane – teorizzando una particolare molecola otterranno una “droga spaziale e definitiva che sedurrà in un batter d’occhi “tossici clienti” di diversa estrazione sociale.

Promettente esordio del regista Sidney Sibilia che dirige un film brioso e mai volgare: il divertimento è assicurato da una buona prova corale mentre lo sguardo volge con ironia all'inquietante problema della disoccupazione giovanile ed al dramma delle risorse sprecate.

Smetto quando voglio” è una salutare ventata di comicità al netto di facili espedienti e volgarità, anche se forse non sempre in grado di divertirci come vorrebbe e di mantenere il picco del suo potenziale.

Manca il fuoriclasse “vero”, quello che sappia strappare risate all'unisono, quindi si lavora “in orchestra” e lo si fa egregiamente, raggiungendo probabilmente la vetta nel frangente della rapina in farmacia, fatta con “armi catalogate all’Hermitage”.

Qualche prevedibilità di troppo eppure dovreste provare a dare fiducia a questa pellicola facendo un salto in sala, prima che i soliti “spacciatori di cine-cialtronerie” vi risucchino nuovamente cervello e sorrisi con la loro disgustosa “roba avariata”.

mercoledì 5 febbraio 2014

A PROPOSITO DI DAVIS di Ethan e Joel Coen







Messaggi inafferrabili, sfuggenti indicazioni e fascino misterioso nel nuovo seducente film dei Coen.

Voto ****      9



Ambientato a New York, nel Greenwich Village degli anni '60 – che avrebbe visto l'inizio della carriera di talenti del calibro di Bob Dylan - la pellicola prende spunto dalla figura del cantante Dave Van Ronk (1936-2002), che ispira anche il titolo originale “Inside Llewyn Davis”, ricalcante quello di un album del 1964 “Inside Dave Van Ronk”. Fonte di ispirazione del film anche la sua autobiografia dal titolo “Manhattan Folk Story”(Edizioni BUR)

Ma il film dei due fratelli Statunitensi non è una biografia, vive di vita propria e sembra essere una sorta di prosecuzione del precedente “A Serious Man” (ricorderete forse le bislacche peripezie del professore di fisica Larry Gopnik), stavolta in chiave folk e senza echi religiosi.

Le atmosfere sono dense ed ai limiti con l'assurdo: incontriamo strani “protagonisti” (gatti, uomini, cani) e percorriamo molta strada, tra asfalto e metafora, buio e fiocchi di neve.

La fotografia di Bruno Delbonnel regala magnifici colori lattiginosi che sembrano far respirare ogni istante di vita faticosa ed affannata. Bravissimo il protagonista Llewyn/Oscar Isaac (che canta anche le canzoni di Van Ronk come la splendida “Hang me, oh hang me) ma quel che più di tutto seduce, è il carismatico ed inconfondibile tocco dei Coen.

Anche stavolta aleggiano instancabilmente messaggi che paiono essere inafferrabili e la storia è pervasa da un fascino misterioso. Ogni mestizia e sfortuna lasciano decantare una successiva indicazione, ogni cosa, dopo un lungo girovagare, sembrerà trovare quiete e collocarsi al suo giusto posto.

Parrà nulla di significante o roba già vista, raccontata e sentita in altre forme centinaia di volte: esattamente come una canzone folk che “che non è mai stata nuova ma nemmeno invecchia” oppure - come più di una volta capita – l'ennesimo splendido lungometraggio di Ethan e Joel Coen.

sabato 1 febbraio 2014

THE WOLF OF WALL STREET di Martin Scorsese









Martin Scorsese diverte con eccessi di ogni sorta. Scegliete voi se si tratta di paradiso o inferno!

Voto ***      7


Droga, soldi e sesso: il mondo della finanza ed i suoi eccessi in una visione straripante e tendente al grottesco, ma simile al vero più di quanto non pensiate: direttamente dal libro omonimo di Jordan Belfort, uno spregiudicato uomo d'affari la cui ascesa e rovina fu tra gli anni '80 e '90.

Scorsese e Di Caprio provano a mettere a nudo - con frenetica ironia - ambienti dove albergano perdizione, dissennatezza ed un bassissimo tasso di scrupoli. Nessuna parvenza di onestà e di morale sembrano avere residenza.

Il quadro degli elementi è debordante: una bulimia di continue follie di fronte alla quale esultare ingolositi oppure arrivare a provare un ripugnante ribrezzo.

Per lunghi tratti assistiamo ad uno scatenato festival degli eccessi, dove la degenerazione diviene abitudine e la ricchezza ipertrofica il minimo da pretendere.

La regia navigata di Scorsese descrive una sorta di incontenibile “babele” dando ampio sfogo ad un plateale gusto del divertimento. Molte le situazioni esilaranti: su tutte quella con Di Caprio che striscia verso la sua Lamborghini bianca sopraffatto da un “Quaalud d’annata” (Un “Lemmon 714”); poi, una volta a casa, per soccorrere il suo collega d’affari (Donnie Azoff/Jonah Hill) – che “strafatto” rischia di strozzarsi - si verserà copiosamente cocaina direttamente nella narice, convinto forse di ottenere il medesimo effetto energizzante di Braccio di Ferro che, dallo schermo della televisione, sembra osservarlo attonito, ingurgitando spinaci.

Il regista NewYorkese evita per scelta “la trappola” di render conto del più ampio quadro generale degli eventi: decontestualizza, tralascia di entrare nel dettaglio. Ha in mente di fare principalmente “divertimento d’autore” ma anche di andare “visivamente dritto al sodo”.

Quel che “dipinge” è niente altro che l’inferno eppure sembra proprio il paradiso! Se dovesse piacervi, lanciatevi pure alla sua conquista: basta “prendere e truffare”!