Un
doloroso stillicidio, necessario a rendere sensazioni sgradevoli con
esattezza chirurgica.
Voto
*** 7½
Nella
famiglia
felice
il
male
brucia
e
consuma
lentamente,
come
un
tronco
che
arde
dall'interno, nascosto
nel
fitto
del
bosco.
Nel
film
di
Gröning
la
violenza
è
quasi
assente
ma
i
suoi
segni
invece affiorano
lentamente
e
con
circostanziata
e
dolorosa
precisione.
Le
poche
lancinanti
deflagrazioni
di
violenza
si
conficcano,
senza
rimedio,
come
aghi
nella
memoria:
riaffioreranno
poi
fino
ad
impossessarsi
dei
nostri
sensi
coinvolgendoci,
nostro
malgrado,
in
una
esperienza
di
empatica
discesa
agli
inferi.
Spossante
e
rigorosa
rappresentazione
della
normalità
della
disperazione,
di un
ambiente
patogeno,
disturbato
ed
angoscioso,
“La moglie del polizotto”
precipita
lo
spettatore
in
una
dimensione
rarefatta,
richiedendogli
grande
impegno
e
partecipazione.
Il
film
è suddiviso
in
capitoli
estenuanti
come
un
calvario
e
paga
forse
alla
fine
un qualche dazio
più
a
questa
sua
frammentazione
che
non
alla
sua rigorosa lentezza o alla cupezza asfissiante delle sue atmosfere,
senza però per questo perdere
alcunchè
della
sua
efficacia
e
della
sua
bellezza.