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giovedì 19 dicembre 2013

PHILOMENA di Stephen Frears










Ecco un film che non deluderà nessuno, capace di coniugare una storia drammatica ad una disarmante leggerezza.

Voto ****       8



Anni '50: Philomena (Judi Dench), rimasta incinta a 14 anni, è finita a pagare il suo peccato nella lavanderia delle “Sorelle della Scarsa Pietà” (…!...) del convento di Roscrea, in Irlanda.

Suo figlio Anthony è stato dato in adozione per solo mille sterline ed ha preso la strada della lontana America: a lei è rimasto solo un buco nel cuore ed una foto clandestina.

Oggi, nel giorno dell'ipotetico cinquantesimo compleanno del suo bambino perduto ha deciso di rivelare a qualcuno il suo segreto e di provare a cercarlo.

La aiuterà un giornalista (Steve Coogan) caduto dagli altari alla polvere ed in leggera depressione: la ricerca non sarà avara di difficoltà e sorprese ma alla fine non sarà stato speso tempo invano.

Il film di Frears - tratto da una storia vera - è bello e commovente, sempre in equilibrio perfetto tra laicità e religione, tra vero e falso. Spesso si diverte a metter a confronto l'intelligenza e la cultura con la saggezza coltivata all'ombra dei piccoli romanzi futili, lasciando interdetto lo spettatore al momento di scegliere il vincitore del confronto!

Tratto dal libro di Martin Sixsmith “The lost child of Philomena Lee” la pellicola sembra partorita in uno raro stato di grazia e capace di diffondere un senso di armonia costante

Lo sguardo diMamma Denchè un distillato di dignità, amore e cinema senza paragoni!


domenica 24 novembre 2013

LA MOGLIE DEL POLIZIOTTO di Philip Gröning


Un doloroso stillicidio, necessario a rendere sensazioni sgradevoli con esattezza chirurgica.


Voto ***      7½





Nella famiglia felice il male brucia e consuma lentamente, come un tronco che arde dall'interno, nascosto nel fitto del bosco.

Nel film di Gröning la violenza è quasi assente ma i suoi segni invece affiorano lentamente e con circostanziata e dolorosa precisione.

Le poche lancinanti deflagrazioni di violenza si conficcano, senza rimedio, come aghi nella memoria: riaffioreranno poi fino ad impossessarsi dei nostri sensi coinvolgendoci, nostro malgrado, in una esperienza di empatica discesa agli inferi.

Spossante e rigorosa rappresentazione della normalità della disperazione, di un ambiente patogeno, disturbato ed angoscioso, “La moglie del polizottoprecipita lo spettatore in una dimensione rarefatta, richiedendogli grande impegno e partecipazione.

Il film è suddiviso in capitoli estenuanti come un calvario e paga forse alla fine un qualche dazio più a questa sua frammentazione che non alla sua rigorosa lentezza o alla cupezza asfissiante delle sue atmosfere, senza però per questo perdere alcunchè della sua efficacia e della sua bellezza.


mercoledì 13 novembre 2013

SUGAR MAN di Malik Bendjelloul










Sixto Rodriguez: il cantante “che con c'era”! Ricostruzione di una carriera, tra verità e leggenda.

Voto ***     7½ 


C’è quasi bisogno, forse una urgenza latente, di sentirsi raccontare storie belle e strabilianti. Quella del cantante “Rodriguez” lo è, al punto da lasciarci perplessi se crederla vera o meno. Già morto non una ma più volte: per overdose (come ogni star che si rispetti), bruciato vivo sul palco o sparandosi un colpo alla tempia, alla fine di un concerto.

Due soli gli album all’attivo, incisi agli inizi degli anni ’70: “Cold Fact” (1970) e “Coming from reality” (1971) - piu’ un terzo incompleto - alzi la mano chi li conosce! Una voce calda e sonorità tra Bob Dylan ed un blues vagamente lisergico: la sua “I wonder” potrebbe meccanicamente inondare l’etere e scatenare il battimani del pubblico con facilità sconcertante.

Eppure Sixto Rodriguez è (oppure è stato?) un perfetto sconosciuto in Patria ed ha goduto di una insolita notorietà solo in Sud Africa, dove la sua musica giunse quasi per caso: oltre mezzo milione di Long Playing venduti, l’equivalente di dieci dischi d’oro; le sue parole diventarono armi contro l’Aparthaid (“Establishment song”), al punto da esser addirittura censurato.

Nelle case del Sud Africa, accanto ad “Abbey Road” dei Beatles e “Bridge over troubled water” di Simon and Garfunkel, era naturale trovare “Cold Fact” di Rodriguez.

E allora, cosa non ha funzionato? Forse sarà stata colpa del lancio pubblicitario, oppure il vestito del colore sbagliato!

Il film “Sugar Man” (titolo originale “Searching for Sugar Man”), del regista svedese di origine Algerina Malik Bendjelloul, ci porta da Cape Town a Detroit, cercando di ricostruire l'atipico percorso di questo artista, tra leggendari aneddoti e ricerca.

Ascoltiamo le testimonianze chi lo ha conosciuto: produttori come Steve Rowland, Il giornalista musicologo Craig Bartholomew Strydom, il commerciante di dischi Stephen Segerman di Città del Capo, che a causa del successo Sud-Africano del pezzo “Sugar Man” da anni è soprannominato “Stephen SUGAR Segerman”!

Vincitore dell'Oscar come miglior documentario nel 2012, premiatissimo in moltissime altre rassegne, tra cui il “Sundance”. Un “giro di blues” come questo, ne la musica né tantomeno il cinema, fino ad oggi l’avevano mai visto!

giovedì 19 settembre 2013

VIA CASTELLANA BANDIERA di Emma Dante

L'esordio cinematografico di Emma Dante è un “O.K. Corral” in salsa Siciliana dal significato profondamente metaforico.

Voto ***      7½


In un vicolo sperduto della Sicilia due donne, bloccate in automobile in uno stallo ai limiti del surreale, danno luogo ad una sfida dai connotati quasi western: marcano il territorio come animali, scattose inseriscono la prima nel cambio come si carica il colpo nella canna della pistola per poi sparare.

Intolleranze e disaffezioni, dolori e piccole tenerezze: tutto emerge e si fa strada nel film esordio di Emma Dante.

Buona la proprietà dei mezzi a disposizione che, stavolta, le consentono di operare oltre i limiti dell'abituale profondità di campo e della visione frontale del teatro.

Lampi di Italiane insensatezze e cattivere siciliane, cuori impietriti e tristezze arse nel sole, nel cemento e nel tempo.




venerdì 8 febbraio 2013

ZERO DARK THIRTY di Kathryn Bigelow









Spasmodiche ossessioni e malesseri Americani: istantanee cinematografiche da un conflitto interminabile.

Voto ***         7

Dall'attentato alle torri gemelle all'uccisione di Osama Bin Laden. Dieci anni di guerra ad Al Qaeda, tutti caricati sulle spalle di Maya/Jessica Chastain: sul suo volto, nella sua spasmodica rincorsa al nemico fantasma e nell'uso multiforme del suo talento investigativo c'è tutto il tormento di una Nazione ed il suo smarrimento dentro un conflitto senza fine.

Zero Dark Thirty” è la nuova pellicola di Kathryn Bigelow, la prima donna ad aggiudicarsi l’ Oscar nel 2010 con “The Hurt locker”: sei statuette all’epoca, tra cui miglior film e per l'appunto miglior regia, per un lungometraggio che non navigava verso lidi troppo distanti da quelli attuali.

La regista Californiana preferisce una descrizione del conflitto militare più riflessiva e “psicologicamente spossante”, senza montaggi rutilanti ed adrenalinici ma indagando luoghi distanti dal fronte, come le anonime e sperdute prigioni dove il nemico puo' esser torturato ed umiliato, ridotto persino a camminare a quattro zampe indossando un collare per cani.

In “Zero dark Thirty” c'è molto dell'anima nera dell'America e della sua congiunzione e collisione con mondi diversi e distantissimi, molte delle ossessioni che quella nazione ha patito per un decennio e diverse gradazioni di lettura di uno scontro che, in parte, è inevitabilmente anche incontro e modificazione “genetica e culturale”.

Istantanea simbolo di questa mutazione sembra poter essere Jessica Chastain, avvolta nel chador nero con ai piedi le “All Stars”, che con una mano porta alla bocca una patatina fritta, mentre con l'altra tiene in mano una lattina.

Nel finale, dopo che i soldati eroici e guasconi hanno rischiato la vita - per Dio e per la Patria? - un cadavere giace inerte in un sacco, dopo esser stato trasportato come una qualsiasi refurtiva. Attorno sguardi smarriti, parole che non riescono ad affiorare alla bocca ed una funerea assuefazione alla morte: sono i sintomi consequenziali all’assunzione di troppa adrenalina bellica.

Devastante il disorientamento: inevitabile che ogni giorno divenga più difficile distinguere l'orizzonte in lontananza ed enormemente complicato calcolare la reale distanza che ci separa dalla luce in fondo al tunnel.