Storie incrociate e “collisioni” inaspettate. Contiguità sottovalutate e pericolose tra mondo virtuale e realtà.
Voto ** 6
“Sassy
777” scorre on line la lista dei desideri di “Boitoi18”,
“Cin8380” condivide in rete il suo dolore con “Fear and
Loathing” mentre “BenBoyd” fantastica avventure con
l'immaginaria “Jessica Rhony”.
Ma
dietro i freddi “NickName” si celano (quasi sempre...) esseri
umani in carne ed ossa e presto o tardi la virtualità finisce per
collidere con la realtà.
“Disconnect”
di Henry Alex Rubin dipana la sua trama attraverso tre (quasi quattro...) storie incrociate - sempre più un vezzo piuttosto che una vera e propria necessità della narrazione - con sceneggiatura ad opera di Andrew Stern.
Punta
l'indice sui pericoli della rete (le truffe, le false identità, lo
sfruttamento dei minori) ma ancora di più vuole sottolineare come
questa (paradossalmente?) sia talvolta l'ennesimo tassello che
contribuisce alla rarefazione dei rapporti umani ed a gettarli in
crisi.
Non
pare esserci comunque un intento castigatore e moralista, soprattutto
considerando che nel contesto generale degli avvenimenti sarà
proprio il
mezzo virtuale al tempo stesso ragione ed in qualche misura soluzione
dei mali.
“Disconnect” è un film sulle "vicinanze solitarie", sui sensi di colpa che lentamente affiorano e le conseguenti collisioni tra le persone e nel suo insieme porta la mente a ripescare il "Crash" di Paul Haggis (tre Oscar e due Golden Globe nel 2006), del quale non regge il paragone in quanto a pathos e spessore.
Girato
e pensato in maniera gradevole, molto meticolosa ed organizzata,
riesce
ad evitare di incespicare troppo negli incroci farraginosi, nondimeno
divenendo in un istante cinema masticabile, in poco tempo digerito e
presto dimenticabile.
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