Le
elucubrazioni di Hannah Arendt: un tesoro del passato
indispensabile per guardare al futuro.
Voto ***½ 8
All’inizio
degli anni ’60 la scrittrice e filosofa ebrea Hannah Arendt venne
inviata dal “New Yorker” in Israele a seguire il processo al
gerarca Nazista Adolf Eichmann. Quel che fu pubblicato risultò
essere qualcosa di molto più coinvolgente ed esplosivo che una mera
cronaca dei fatti.
Oltre
alle inquietudini provocate dalle singolari ipotesi sulle “origini del male”, fecero scandalo nei suoi scritti le allusioni ad una qualche
parcella di responsabilità tra i troppo sottomessi capi Ebrei, individuando un
“concorso di colpa” dell’abbassamento della morale
collettiva e nel collasso generale del coraggio civile.
La
regista Berlinese Von Trotta affianca al racconto per immagini una
poderosa “proposta di riflessione”, costringendo in un angolo la
nostra mente e la nostra coscienza ed obbligandoci ad elaborare,
considerare e soppesare, chiedendoci un approccio ed un’analisi
fuori dalle convenzioni.
Per
approfondire meglio il solo “processo Eichmann” recuperate il
bellissimo “Uno specialista”, film-documentario di Eyal Sivan del
1999; chi desiderasse confrontarsi direttamente con la Arendt si
cimenti con il libro “La banalità del male” - Ed.Feltrinelli
2003 (titolo originale dell'opera “Eichmann in Jerusalem – A
report on the banality of evil”).
Inevitabile
trarre una fra tutte le possibili
conclusioni: la cultura è nulla senza un pensiero vivo che la faccia
arrivare a discernere tra bene e male,
un tesoro inutile senza qualcosa che la tenga stretta ad una sua
dimensione morale e ad una indispensabile responsabilizzazione.
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