Payne
sa fondere bene tenerezza e cattiverie e nel tempo di un viaggio di
qualche centinaia di miglia ci mostra l'essenza della vita.
Voto
***½ 8½
Woody
Grant
(Bruce Dern) è un anziano signore di Billings, nel Montana, convinto
di aver vinto un milione di dollari.
Decide di recarsi negli uffici che dovrebbero liquidargli la somma,
che hanno sede a Lincoln nel Nebraska, distante diverse centinaia di
miglia da casa sua.
Il
figlio Dave (Will Forte), in cuor suo ritiene che tutto questo non
sia nient’altro che l’ultimo escamotage di un vecchio impegnato
a procacciarsi un buon motivo per vivere e decide di accompagnarlo,
cogliendo al volo l’occasione per passare un po’ di tempo assieme
a lui.
Alexander
Payne con “Nebraska” lascia affiorare le tematiche intimiste a
lui care da sempre, proponendocele stavolta con un
rigore formale differente o, “se preferite”, il migliore mai
raggiunto, in
virtù anche dell’ottimo lavoro di Phedon Papamichael alla
fotografia , che illumina la sua storia con un bianco e nero affilato
e risplendente.
I
protagonisti
sono persone normali che trasudano varia umanità,
declinandola
con ironia e colorite fioriture popolari. A completare un quadro di
contagiosa e sfumata surrealtà ci sono vaghe note di noia,
rimpianto e qualche punta di cattiveria.
La
sceneggiatura di Phil Johnston e Bob Nelson si fa forte nei dialoghi
scabri, essenziali
e privi di ridondanza.
Payne
è forte di una abilità rara nel dare concretezza visiva alla sua
sensibilità e dimostra grande dimestichezza nel raccontare “inezie
di grande rilievo”, sottolineando
con il massimo della semplicità il brillare della vita nelle sue
“fugaci interiezioni”.
Esemplare
sembra essere la
compiutezza raggiunta
nel
cantare le sventure e le impercettibili fortune dei personaggi
minori, quelle “piccole esistenze rivelatrici” che scolorano
nella folla, motivo per cui “Nebraska” si propone tre le
espressioni migliori di un cinema capace di trarre da dettagli
infinitesimali dei significati universali,
ripescandoli nella confusione informe e rumorosa del mondo, laddove
vagano spesso inosservati senno e saggezza, scontenti e scoramenti,
dolori soffocati ai quali dare voce.
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