Molto
piu’ filosofia che sesso: disattende in larga parte le aspettative
voyeristiche il Vol.1 di Nymph()maniac.
Voto
*** 7
Ce
lo dice quasi subito Joe (Charlotte Gainsbourg): “La storia sarà
molto lunga e avrà una morale”. Così noi spettatori ci disponiamo
di buon grado ad ascoltare; peccato che a metà percorso ogni nostra
curiosità rimarrà sospesa, ad aspettare le conclusioni a venire
nella seconda parte.
Stiamo
parlando di “Nymph()maniac” di Lars Von Trier e nello specifico
del “Vol.1”, nella versione sforbiciata di mezz’ora per mano
altrui ma “approvata” dall’autore (..!..). Verso fine Aprile
la parte mancante, dunque – nemmeno a dirlo – trattasi di un
“coito interrotto”!
Nel
lancio pubblicitario hanno tenuto banco attese scandalistiche e
“leggende pornografiche” ed a dire il vero anche la locandina fa
di tutto per alludervi furbescamente, con gli attori uno di fianco
all’altro in espressioni “soffertamente orgasmiche”; eppure nel
film il sesso è solo una base di partenza, una chiave di lettura
oppure uno strumento per aprire porte ed esplorare “altro”,
soprattutto “filosoficamente”.
Joe
racconta le sue esperienze carnali all’anziano Seligman (Stellan
Skarsgård), che l’ha raccolta sanguinante in mezzo alla strada. Durante le sue “confessioni” si incrociano e si confrontano i
diversi punti di vista: gli aneddoti vengono rivisitati attraverso
le esperienze della pesca oppure accostati alle polifonie di Bach.
Destano
curiosità ed attraggono gli egoismi e le “strategie”, i traumi
infantili, l’insensibilità e la conseguente voglia di
autodistruzione; affascinante il tentativo di legger l’anima degli
alberi, guardando i rami ed i tronchi “nudi”, d’inverno. Non
fanno davvero paura invece le “innocue provocazioni blasfeme”
tra le quali possiamo annoverare di certo il “Mea vulva, mea
maxima vulva”.
L’apparizione
“geniale ed anticonvenzionale” della “Signora H/Uma Thurman”
è un raggio di luce: fa incursione nella pellicola con grande
bravura ed un pizzico di follia, portando i suoi tre figli al seguito
per fargli visitare il “letto della puttana” che le sta
soffiando il marito.
Le
premesse e l’impianto del film promettono bene, tutto sembra
appetitoso e nell’aria si spande profumo di grande cinema, anche se
si conta già qualche furbo innesto didascalico di troppo (non ci
è ancora dato sapere se veramente utile allo scopo): deliri di Allan
Poe, numeri di Fibonacci ed una frase dalla “Lettera a Meneceo”
di Epicuro (meglio conosciuta come “La lettera sulla felicità”).
Sottofondo musicale di Šostakovič e dei Ramstein.
“Per
tirar fuori un senso da un racconto bisogna crederci”, afferma
sempre la Joe/Gainsbourg del film. Noi vorremmo anche, ma per il
momento siamo obbligati a non conoscerne la fine e questa
distribuzione della pellicola, frammentata e dissennata, sembra
essere al momento l’unica “perversione” realmente riscontrata
riguardante il film di Von Trier.
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