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domenica 13 aprile 2014

PICCOLA PATRIA di Alessandro Rossetto















Un ritratto nero del Veneto: conflitti culturali e generazionali, desolazione, rabbia e venti di secessione.

Voto ***      8

Villafranca di Verona: osservandola dall’alto si vedono chiaramente i capannoni accanto ai campi, il bestiame ed il formicaio di veicoli sulle grandi reti stradali, gli alberghi enormi come l’ “Antares” e la sua piscina.

E’ qui che lavorano come cameriere Renata (Roberta Da Soller) e Luisa (Maria Roveran, dolcissima e sofferta la sua interpretazione). Vivono la gioventù, che per loro è l’età dei sogni ma anche delle insicurezze e dell’insoddisfazione. Le avventatezze della loro immaturità, le gelosie ed alcuni “piccoli giochi sporchi” saranno l’innesco per qualcosa di più tragico e grande di loro.

Ottimo l’esordio delle due giovani protagoniste, così come quello del documentarista ed antropologo Alessandro Rossetto. Il suo “Piccola Patria” è un film in grado di cogliere i segni del tempo e del territorio, osservandone con attenzione solo una piccolissima frazione.

Siamo in un Veneto avvolto da una cappa di negatività, dove sembra esser buio anche quando brilla la luce del sole. Scende anche la pioggia, ma non basta a lavar via il male che affiora, nè a fermare il veleno che lentamente impregna ogni zolla di terra.

Appare chiaro fin da principio che se gli “schei” (i soldi) son quel che manca ed al tempo stesso quel di cui principalmente si avverte la necessità i conflitti emergeranno presto, fino a deflagrare con disordinata urgenza.

Tasse da pagare, i prezzi nei negozi che “aumentano anche di notte”, poi vizi, perversioni e ricatti: la chiesa alla domenica e la fede in Dio mascherano a malapena l’intolleranza, i tradimenti e le tensioni. La misura è colma, rabbia e desolazione stanno per canalizzarsi e trovare il loro sfogo: gli animali forse lo avvertono, sbuffano ed annusano la nuova tempesta in arrivo.

Rossetto (grazie anche alla collaborazione in sceneggiatura di Caterina Serra e Maurizio Braucci) fotografa con intensa veridicità l’insieme delle cose e la complessità del reale, enfatizzando e dando più ampio respiro al suo racconto avvalendosi di canti che sanno d’antico e di tradizione (“L’acqua ‘ze morta” di Bepi De Marzi).

Italiani e stranieri (Africani, Arabi, Albanesi): vicinanze e similitudini ma soprattutto distanze.

Soffiano venti secessionisti: le radici di un popolo sono contaminate dai ragionamenti superficiali e dal razzismo latente, ma anche dalle frustrazioni e dalla crisi che stringe la cinghia. Oramai solo qualche vecchio ricorda gli “xenotrofi” che parecchi anni prima ospitavano i pellegrini di passaggio, quando quelle stesse terre oggi ostili accoglievano gli stranieri e dialogavano con “i diversi”.

Sguardo forte per un quadro fosco e difficile da comprendere appieno, verità e specchio di una fetta di Nazione, idealmente un monito per altre porzioni di mondo.

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