Un ritratto nero del Veneto: conflitti culturali e generazionali, desolazione, rabbia e venti di secessione.
Voto
*** 8
Villafranca
di Verona: osservandola dall’alto si vedono chiaramente i capannoni
accanto ai campi, il bestiame ed il formicaio di veicoli sulle
grandi reti stradali, gli alberghi enormi come l’ “Antares” e
la sua piscina.
E’
qui che lavorano come cameriere Renata (Roberta Da Soller) e Luisa
(Maria Roveran, dolcissima e sofferta la sua interpretazione). Vivono
la gioventù, che per loro è l’età dei sogni ma anche delle
insicurezze e dell’insoddisfazione. Le avventatezze della loro
immaturità, le gelosie ed alcuni “piccoli giochi sporchi”
saranno l’innesco per qualcosa di più tragico e grande di loro.
Ottimo
l’esordio delle due giovani protagoniste, così come quello del
documentarista ed antropologo Alessandro Rossetto. Il suo “Piccola
Patria” è un film in grado di cogliere i segni del tempo e del
territorio, osservandone con attenzione solo una piccolissima
frazione.
Siamo
in un Veneto avvolto da una cappa
di negatività, dove sembra
esser buio anche quando brilla la luce del sole. Scende anche la
pioggia, ma non basta a lavar via il male che affiora, nè a fermare
il veleno che lentamente impregna ogni zolla di terra.
Appare
chiaro fin da principio che se gli “schei” (i soldi) son quel che
manca ed al tempo stesso quel di cui principalmente si avverte la
necessità i conflitti
emergeranno presto, fino a deflagrare con disordinata urgenza.
Tasse
da pagare, i prezzi nei negozi che “aumentano anche di notte”,
poi vizi, perversioni e ricatti: la chiesa alla domenica e la fede in
Dio mascherano a malapena l’intolleranza, i tradimenti e le
tensioni. La misura è colma,
rabbia e desolazione stanno per canalizzarsi e trovare il loro sfogo:
gli animali forse lo avvertono, sbuffano ed annusano la nuova
tempesta in arrivo.
Rossetto
(grazie anche alla collaborazione in sceneggiatura di Caterina Serra
e Maurizio Braucci) fotografa con intensa veridicità l’insieme
delle cose e la complessità del reale, enfatizzando e dando più
ampio respiro al suo racconto avvalendosi di canti che sanno
d’antico e di tradizione (“L’acqua ‘ze morta” di Bepi De
Marzi).
Italiani
e stranieri (Africani, Arabi,
Albanesi): vicinanze e
similitudini ma soprattutto distanze.
Soffiano
venti secessionisti: le radici di un popolo sono contaminate dai
ragionamenti superficiali e dal razzismo latente, ma anche dalle
frustrazioni e dalla crisi che stringe la cinghia. Oramai solo
qualche vecchio ricorda gli “xenotrofi” che parecchi anni prima
ospitavano i pellegrini di passaggio, quando quelle stesse terre oggi
ostili accoglievano gli stranieri e dialogavano con “i diversi”.
Sguardo
forte per un quadro fosco e difficile da comprendere appieno, verità
e specchio di una fetta di Nazione,
idealmente un monito per altre porzioni di mondo.
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