Nella
Polonia del secondo dopoguerra due donne cercano di fare i conti con
il loro passato.
Voto
***½ 8½
Anna
è una giovane novizia in attesa di prendere i voti (in verità
scoprirà di chiamarsi Ida/Agata Trzebuchowska). Incontra sua zia
Wanda (Agata Kulesza), un magistrato, nella Polonia degli anni ’60,
ancora dolorosamente afflitta dal suo complicato dopoguerra.
Nemmeno
si conoscono ma partono assieme alla ricerca del loro passato, con il
quale forse nessuna delle due ha mai fatto veramente i conti: la più
giovane probabilmente accantonerà in fretta qualunque ipotetica
scoperta, perché attesa dall’eterno matrimonio con Dio.
Il
regista Pawlikowski segue queste due donne muoversi tra fantasmi ed
incertezze, mentre scavano nella storia e nella terra ancora bagnata
dal sangue degli Ebrei e dei “nemici del popolo” Polacco.
Riaffiorano sofferenze e rimorsi e la “luce di dio” è troppo
fioca per rischiarare tutta l’oscura malvagità dell’uomo.
Eppure sbocciano comunque le nuove foglie della vita e la musica
di Coltrane aleggia nell’aria.
Nell’estetica
magnifica di un bianco
e nero in “35 mm” il film
si fa “sfogliare” come fosse un sontuoso album di fotografie,
forte di inquadrature di una
grandezza compositiva inappuntabile:
il taglio di ogni immagine è studiato con perfezione certosina e la
bellezza è seducente. Il solo
insieme di queste “cartoline” risulta a tal punto memorabile che
varrebbe da solo la visione della pellicola.
“Ida”
è un film intenso e struggente e fin da subito sembra potersi
proporre per occupare un posto nell’olimpo del grande cinema.
Nel
finale evoluzioni inaspettate:
forse assistiamo ad una sorta di
espiazione oppure è l’istinto ribelle della vita
che si fa strada, grazie a nuove consapevolezze. L’incrocio di due
vite spesso fa germogliare i suoi frutti e questo, al di là di ogni
riflessione sul Divino o sull’umana disperazione, sembra essere più
di altri il vero miracolo da considerare.
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