Non
c'è nulla di anacronistico nel parlare di lavoro, dignità e salute:
Barbanente e Mangini ce lo dimostrano.
Voto:
*** 7
Parcheggiare i ricordi d'infanzia presso un antico ponte romano sull'Ofanto e poi proseguire verso le città di Taranto e Brindisi, per documentare con la forza del cinema quel che accade oggi in posti dove il lavoro sembra esser costretto a convivere con la morte e la rinuncia ai propri diritti.
Un
doppio sguardo tutto al femminile:
quello della piu' giovane Mariangela Barbanente accompagnata dalla
più anziana Cecilia Mangini, classe 1927 ed autrice di molto cinema
militante dal secondo dopoguerra fino alla metà degli anni '70.
La
regista di Mola di Bari torna dietro la macchina da presa dopo
quarant'anni, per tentare
assieme alla sua compagna di viaggio di
trovare risposte ai segni dell'inerzia rispetto ai ricatti della
politica e del lavoro, per verificare lo stato dell'abbandono
industriale e post-industriale di alcune aree della sua puglia.
I
vecchi documentari in bianco e
nero della stessa Mangini
vengono affiancati al girato odierno per offrire spunti paralleli tra
ieri ed oggi: voci del passato
parlano di una lotta di classe antica, che è andata trasformandosi,
poi “confusa” ha perduto la sua strada ed oggi segna il passo. Ma
non è paralisi totale, ci sono
ancora barlumi di speranza e consapevolezza, donne e uomini “liberi
e pensanti”.
L'approccio
tecnico ed esperto ci restituisce la grazia del cinema
ed acquistano fascino persino i fumi bianchi e neri che uscendo dalle
ciminiere volano verso l'alto. Poi l'obiettivo si sofferma sulla più
dolorosa delle reliquie: un rosario fatto di compresse farmaceutiche,
lacerante testimonianza di un affetto scomparso ancora in cerca di
verità e giustizia.
“In
viaggio con Cecilia” testardamente parla ancora di lavoro e ricatto
occupazionale, di dignità e salute, della deprivazione dei diritti,
dei decreti legge che distruggono con una firma anni di lotte,
dell'impegno della magistratura e di tutti coloro che credono,
reagiscono e non si arrendono.
Ridicoli
spruzzi d'acqua bagnano inutilmente i cumuli di polveri velenose dei
“parchi minerali” dell' “I.L.V.A.”: un vento di morte li
trascinerà ugualmente verso i quartieri vicini ed abitati. Lo stesso
vento soffia anche sulla rabbia ed il dolore, alimentando la voglia
di rivalsa di chi è stanco di aver pazienza.
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